GENITORI COLLEGATI
di Gigi Cotichella
La rete tra adulti della comunità educante per il successo educativo.
Più volte, come formatore, mi è capitato di sottolineare l’importanza della rete tra gli adulti per un intervento educativo migliore e per cambiare un po’ il mondo.
Più volte, intervistato su questioni giovanili, in particolare sulla presunta problematicità dei giovani, ho risposto che il vero problema sono gli adulti.
Più volte, insomma, mi è capitato di affrontare le modalità con cui gli adulti possano influire sui giovani, sui bambini e sui ragazzi. Purtroppo mi sono reso conto che ho sempre parlato agli addetti ai lavori: una volta agli insegnanti, una volta ai catechisti, una volta agli educatori; ho sempre visto da loro cenni affermativi sull’importanza di coinvolgere le famiglie, ma sguardi sconsolati per la difficoltà nel farlo.
Come avvicinare il genitore, la persona che ti affida il ragazzo? Come riuscire a parlarsi tra adulti quando le regole del cuore e la fiducia sono ben altre rispetto alle medesime tra i ragazzi? Sono poche le volte che affrontiamo questo tema con i genitori stessi.
Come spiegare ad un genitore che deve diventare un alleato degli altri adulti che sono importanti nella vita dei suoi figli? Proviamo a spiegarlo con questo articolo descrivendo tre passaggi: perché, con chi e come.
Perché?
Il perché è fondamentale, perché il bambino cresce in casa, di fatto, come fosse il suo nido. In casa mamma e papà sono i suoi referenti fondamentali, i suoi governatori, sono quelli che danno le regole, che danno i premi, che danno le punizioni, sono tutto. Il primo incontro che si fa di solito è la casa dei nonni, dove si intuisce che c’è una libertà maggiore, ma si capisce anche che è una sorta di “Paese dei Balocchi”, preso a noleggio per l’occasione. Si cominciano poi a incontrare, all’asilo nido, nella scuola dell’infanzia e poi in quella primaria, con altri adulti di riferimento,che man mano aumentano, si diversificano e diventano più specialisti in un settore.
Inizia così ad emergere che a casa ci sono alcune prassi, a scuola e in altri posti ce ne sono di differenti.
Il “perché”, allora,nasce prima di tutto dall’esigenza che il bambino riceva non tanto gli stessi messaggi, nel senso di slogan fotocopiati, ma messaggi anche differenti che però vadano nella stessa direzione, anche se variegata in diverse sfaccettature. Proprio perché non sappiamo che cosa si dice in casa e che cosa si dice a scuola, è importante non solo passare attraverso le richieste che si fanno ai ragazzi, ma anche attraverso il dialogo che si ha con gli attori adulti nei diversi contesti.
Bisogna fare in modo che il ragazzo non riceva messaggi fuorvianti o, peggio ancora, opposti. Ecco perché, tendenzialmente, un genitore non dovrebbe mai sminuire un’altra figura educativa che lavora con il proprio figlio. A questo proposito molti genitori mi diranno: “Ma se quell’insegnante, quell’educatore fa qualcosa di tremendo?” Ecco, in quel caso capite che sta saltando la propria funzione educativa. Invece parliamo spesso di come le nostre parole o i nostri atteggiamenti rendano inefficaci tutto il lavoro educativo, che vorrebbe e potrebbe fare un educatore esterno.
Il “perché” nasce, in seconda battuta, dal fatto che il ragazzo o il bambino tendono a cercare una scappatoia per farla franca, per attuare lo sforzo minore. Quante volte i bambini dicono delle cose al papà, perché la mamma reagirebbe in modo diverso e viceversa? La forza educativa in famiglia sta proprio nel far capire al ragazzo che mamma e papà si parlano. Proprio per questo, la stessa forza viene trasferita, quindi, a un concetto di gruppo educante allargato, dove la famiglia si incontra con altre figure.
Con chi?
Quali sono queste altre figure? Sono tutti quegli adulti che hanno un rapporto continuativo con i nostri ragazzi e hanno un’influenza nella loro vita.
Si parte, quindi, dai nonni, ma anche da tutte quelle figure come amici di famiglia o padrini o persone che frequentano casa nostra e con cui i ragazzi instaurano dei rapporti. Non parliamo dello zio che viene dall’America una volta ogni sette anni! Parliamo di quelli la cui frequentazione è assidua, con cui si crea una dinamica di continuità, che permette un approccio educativo.
È importante allenarsi a comunicare ai nonni, agli zii, agli amici alcune dinamiche educative della nostra famiglia: avvisarli prima, perché spesso si arriva a definire delle regole educative nel momento della punizione, dell’errore, che di solito non è il momento migliore per definire una regola o uno stile educativo. A volte, quindi, sarà meglio far capire che certe cose si fanno perché abbiamo scelto così, magari anche con semplici battute dette davanti a tutti per lanciare dei messaggi, ad esempio: “Carlo andiamo a lavarci le mani, come facciamo sempre a casa prima di mangiare!” oppure “Marta leggiamo una favola perché così ci addormentiamo meglio, come ogni giorno”: frasi di questo genere indicano dei paletti non per forza negativi (“non fare questo, non fare quello”), ma anche positivi (“facciamo questo, facciamo quello”).
Da queste figure più interne, più familiari, si passa a quelle esterne che non scegliamo noi. Ed è qui l’importanza di non fermarsi alla simpatia o all’antipatia, ma di pretendere in base al ruolo. Se l’insegnante ha un ruolo educativo, non importa che sia simpatico o no, si deve pensare e trarre delle strategie educative. Si comincia dalle scuole più basse dove si parla di tutte le “ansie” che si hanno rispetto a un bambino che sta crescendo, dei primi voti; poi pian piano si dice che ci sono dei grandi cambiamenti alle medie o alle superiori. L’importante è allenarsi a parlare con gli insegnanti chiedendo come vanno i ragazzi a scuola, ma comunicando loro anche delle cose che si notano, anche non partendo dai problemi.
Quando ho insegnato per quattro anni ho avuto degli allievi che andavano molto bene a scuola, i cui genitori non venivano mai ai colloqui, perché tanto i figli andavano bene. È un errore, perché se hai un figlio che va bene scolasticamente è già un bellissimo risultato, ma lo sforzo sarà di lavorare insieme alle figure educative per ottenere il meglio. Se mia figlia ha 8 in tutte le materie, non è detto che abbia 8 nella sicurezza di sé o nel realizzare i propri sogni, o nel saper amare gli altri. Allora posso lavorare con gli insegnanti più sensibili per dire questo.
Stessa cosa per le figure educative o in parrocchia o in oratorio: bisogna parlare anche con i catechisti per sapere come sta andando, che cosa possiamo fare, o per chiedere un consiglio. A volte il genitore chiede consiglio e questo fatto può essere visto dall’altra parte quasi come un caso disperato che si rivolge all’oracolo, ma in realtà è un modo per dire: “Entriamo in contatto io e te per il bene comune di questo ragazzo”. Allora chiedere un consiglio è anche abbattere una barriera in modo che anche il catechista o l’insegnante sappia che da parte nostra c’è la voglia di ricevere consigli, la voglia di sentire, la voglia di affrontare le problematiche. Perché se no il rischio è che due persone che per tutto un tempo educativo avrebbero voluto parlare con il ragazzo, non lo facciano mai.
Molto particolare, e per certi versi più facile, è quello che avviene nel mondo sportivo, dove veramente tutti sanno che il carattere e le competenze extrasportive influenzano il percorso sportivo stesso e quindi anche le prestazioni. Perciò l’allenatore diventa molto spesso la figura di riferimento, il confessore, l’aiuto, ed è fondamentale creare un vero rapporto di complicità con loro. Pensate al potere che potrebbe avere l’allenatore che dice al ragazzo: “Non ti alleni più, non fai più le partite se non migliori a scuola”.
Come?
L’alleanza tra adulti si costruisce in maniera diversa e richiede ai genitori un grande sforzo. Bisogna condividere quando c’è un problema, perché altrimenti si potrebbe pensare soltanto a visuali negative; poi bisogna abituarsi al fatto che, a volte, i ragazzi, nel momento in cui ricevono un messaggio da un altro educatore di riferimento, possano in qualche modo ridirlo ai genitori. Spesso dal genitore sentono dire: “Che cosa ti ho sempre detto io? C’era bisogno che te lo dicesse lui per ascoltarmi?”. Questo è un modo per distruggere l’alleanza, fa passare i genitori per noiosi e fa diventare molto più positive le figure esterne, che non sempre sono educative. Ecco che allora è utile prendere la palla al balzo, fermarci un attimo e iniziare un dialogo. Magari dire: “Ah sì, e come mai ti ha colpito tanto?” e cercare quindi di andare in profondità e sottolineare senza moralismi come anche noi siamo d’accordo con quella linea : “Ma io penso che il tuo allenatore sia proprio in gamba perché la penso anche io così”.
La rete si crea proprio in questo modo. È fondamentale vivere i momenti extra e quindi le feste, gli incontri, tutti i momenti in cui, anche con semplici parole o battute, si può costruire una semplice relazione di complicità, di sorriso, che permette di rinsaldare quei nodi che tengono insieme la rete: essa potrà essere più forte nel momento in cui ci sarà il bisogno di tenderla per i momenti negativi, ma va costruita quando questi momenti non ci sono, altrimenti il rischio è quello di non essere pronti nel momento giusto. Tutto questo, che può sembrare lavoro in più chiesto ai genitori, è in realtà lavoro in meno che si dovrà fare quando ce ne sarà l’esigenza. Porterà il vantaggio non solo di aver educato meglio i nostri figli, ma di essere stati meno soli, cosa che apre la strada all’ottimismo, quanto mai fondamentale nel cammino educativo di un genitore.
Gigi Cotichella