THE BREAKFAST CLUB
di Gian Luca Pisacane
Breakfast club è una pellicola senza tempo, che può aiutare genitori e figli a comprendere e vivere meglio quel periodo della vita chiamato adolescenza.
TRAMA
Per motivi diversi, Andy, Brian, John, Claire e Allison, cinque studenti di una scuola superiore americana, sono costretti a trascorrere il sabato a scuola, in punizione. Il professore darà loro un tema da svolgere, dal titolo “Chi sono io” e dovrà essere lungo almeno mille parole. Nonostante le diffidenze iniziali, i ragazzi finiranno per solidarizzare, imparando ad accettare gli altri e se stessi.
PERCHE’ VEDERE QUESTO FILM
Ancora una volta il grande schermo dimostra come uno squarcio di realtà possa essere vero cinema, descrivendo le dinamiche umane all’interno di un’unica stanza. I dialoghi sono brillanti e, anche se l’evoluzione dell’intreccio è prevedibile, il processo attraverso il quale i protagonisti si tolgono progressivamente le proprie maschere è calibrato e persino toccante. Atteggiamenti ed apparenze si mescolano con l’irresponsabilità e la fragilità di ragazzi nel pieno degli anni, dando uno splendido spaccato di ciò che noi chiamiamo adolescenza. Breakfast club è un cult senza tempo, che potrebbe essere il simbolo di ogni generazione.
FRASI CELEBRI
Mentre i ragazzi stanno riflettendo, in cerchio, sulla loro vita, splendida ed imperfetta allo stesso tempo, Allison esordisce dicendo:
“Quando cresci, il tuo cuore muore”.
Questa frase incarna la paura di ogni adolescente, ovvero il timore di diventare la generazione contro cui stanno “combattendo”: i genitori. Tutti sappiamo quanto sia difficile convivere con gli adulti in un momento di così forte crescita, sia intellettuale sia fisica, ma, vedendola dalla parte del ragazzo, egli non deve mai dimenticare che ogni litigio, o scontro, avviene perché l’adulto ci vuole bene, cioè ci tiene al mio bene.
Giusti o sbagliati (perché a volte, diciamolo, è la rabbia dei grandi per altri problemi della loro vita, a prendere il sopravvento e a sfogare nel momento peggiore o con la persona sbagliata…), comunque i rimproveri dei genitori mirano perlopiù a regalarci un futuro migliore: per questo bisogna ascoltarli e comprenderli.
Ciò non vuol dire che bisogna sempre ascoltare passivamente tutto, o che bisogna reprimere la propria autonomia di ragionamento, ma serve anche ricordarsi che molto spesso dietro ad un’arrabbiatura di un adulto c’è un gesto di affetto verso il giovane.
...PER EDUCARE
IN UN GRUPPO
Quando camminiamo per strada e ci rapportiamo con gli altri, dobbiamo sempre ricordarci che ognuno vive la propria vita e non esistiamo solo noi, con i nostri problemi. Il rispetto è alla base di qualsiasi rapporto umano e non dobbiamo abbassarci a pensare di essere migliori di altri. Non bisogna suddividere il prossimo per “classi” e non si deve pensare che la nostra vita valga più di quella altrui. Siamo tutti sullo stesso piano e, se sapremo accettarci e rispettarci vicendevolmente, potremo costruire un mondo migliore proprio a partire da quando siamo più giovani.
IL GIOCO: dividiamo i ragazzi in squadre ed organizziamo una caccia al tesoro. Ogni squadra avrà un gap di partenza e un indizio diverso sulla posizione della ricompensa finale. Ad esempio, i membri di una squadra non potranno parlare, quelli di un’altra potranno solo gattonare o potranno muoversi saltando su un piede solo.
Aiutandosi a vicenda a compensare i vari gap, i partecipanti di ciascuna squadra dovranno arrivare tutti assieme al tesoro e premio finale. E poi, merenda per tutti, da mangiare tutti assieme, senza più distinzione di squadre!
N.B.: Finché una squadra non arriverà con tutti i membri contemporaneamente al tesoro, non avrà terminato regolarmente la caccia e quindi non potrà ambire alla vittoria.
A SCUOLA
I protagonisti del film vengono inizialmente rappresentati dal punto di vista del professore ed ognuno di loro è l’incarnazione di uno stereotipo diverso, col quale anche noi ci troviamo a confrontarci: l’atleta, il secchione, il bullo, la figlia di papà e il disadattato. Inizialmente non importa chi siano, o che vite abbiano alle spalle: interessa solo a quale classe appartengono. Invece non conta in assoluto quanto abbiamo o che cosa rappresentiamo, ma semplicemente il fatto di essere persone che possono e devono rapportarsi con gli altri senza pregiudizi, perché, come dicono sempre anche le nonne: “l’abito non fa il monaco”.
IL GIOCO:dividete i ragazzi in due squadre. Ciascun membro del gruppo scrive suun biglietto uno stereotipo di ragazzo che conosce. Raccogliete tutti i foglietti di entrambe le squadre in un unico grande cesto e mettetelo in mezzo ai due team. Mescolate bene tutti i biglietti. Alternandosi un membro alla volta per ogni squadra, ogni singolo componente deve estrarre un biglietto e poi provare a rappresentare lo stereotipo indicato. Solamente i propri compagni potranno tentare di indovinare, in non più di 30 secondi, quale “maschera” è stata messa in scena. Vincerà il gioco chi totalizzerà più “stereotipi” indovinati. L’insegnante interverrà, alla fine dei 30 secondi, ogniqualvolta la messa in scena di uno stereotipo procuri sarcasmo o addirittura “prese in giro” da parte dei presenti: infatti, durante il gioco, sarà anche necessario rielaborare con gli allievi proprio l’aspetto negativo del nostro “appioppare etichette” o del nostro non saper rispettare le altre persone e le loro caratteristiche.